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GC 9 ottobre 2006
Claudia Crabuzza, spirito libero dei Chichimeca
Fuori da ogni schema, allergica alle convenzioni e ai compromessi. Con alle spalle una storia e un’esperienza che rendono questa minuta ragazza dal sorriso solare e dalla voce che ricorda Nada un personaggio carismatico della canzone d’autore


ALGHERO - Sono l’assoluta novità e la più interessante formazione emergente del panorama musicale sardo, ma non solo. La loro musica ha già invaso con grande successo lo scenario nella Penisola e all’Estero. Si chiamano Chichimeca, termine derivante dall’antica lingua messicana e che significa “barbari”. Hanno pubblicato due album, “Barbari” e “Luce-Nur”, due successi. La particolarità di questo gruppo sta tutta nella originale e suggestiva storia personale della fondatrice e autrice dei testi. Claudia Crabuzza, 31 anni, algherese. Cantautrice. E’ lei l’anima dei Chichimeca. Ha forgiato il timbro di fabbrica e lo ha stampato indelebile sui segni particolari delle sue canzoni. Uno spirito libero, fuori da ogni schema, allergica alle convenzioni e ai compromessi. Con alle spalle una storia e un’esperienza che rendono questa minuta ragazza dal sorriso solare e dalla voce che ricorda Nada un personaggio carismatico della canzone d’autore.

La sua storia si chiama Messico, Chiapas, per l’esattezza. Un luogo lontanissimo, in tutti i sensi, dalla nostra civiltà, dove Claudia Crabuzza ha trascorso diversi periodi a contatto dei contadini in lotta contro il Governo per rivendicare il diritto all’esistenza e all’autogoverno. Osservatrice internazionale, la sua presenza nei villaggi controllati dall’esercito ha sicuramente cambiato la sua vita. A fianco dei popoli indigeni, che chiedono l’approvazione di una legge che gli garantisca loro diritti e rispetto della loro cultura originaria. E la conservazione delle loro terre. «Gente – dice - che non ha armi, non ha cibo, non ha niente, che vorrebbero essere solo contadini e madri e padri. Uomini e donne così piccoli che potresti crederli bambini». Ha vissuto insieme agli indios, è stata testimone delle incredibili condizioni di vita a cui il popolo dei Campesinos è sottoposto, le cui rivendicazioni sono sostenute dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale del Comandante Marcos.

Dal Messico alle canzoni il passo è breve, e Claudia, con un passato nei Tazenda, lo ha fatto riuscendo a non parlare di politica, mantenendo inalterata la suggestione di un’esperienza umana che trasmette a tinte forti, con testi diretti, raccontando di amore e di morte, di ambienti e luoghi lontani dove le donne aspettano l’amore come un sogno, un uomo e figli, e fare girotondo, e gli uomini dicono no te enamores, e la morte è più viva della vita. Si incontrano comandanti, si entra in storie di eroine combattenti, cieli e navi e strade polverose, desideri di emozioni in cui tutti si possono riconoscere. Passione e malinconia che segnano la vita di uomini e donne dell’America Latina.

«Sono arrivata in Messico per la prima volta nel ’99 seguendo una specie di istinto, che si è rivelato da subito corretto. Lì ho scoperto, oltre alla bellezza, alla storia, alla poesia, alla spiritualità di un paese che non a caso si chiama nella lingua antica ‘ombelico dell’universo’, la realtà politica del Chiapas, la sollevazione degli indios del 1994, e la loro lotta per la dignità. Al secondo viaggio ho realizzato il sogno, visitare direttamente una comunità indigena zapatista, in veste di osservatrice internazionale, un ruolo riconosciuto dalle autorità delle comunità, che dall’inizio della lotta si sono appoggiate al lavoro di monitoraggio continuo da parte di organizzazioni civili straniere. La presenza stessa di persone non messicane all’interno delle comunità garantisce un maggiore rispetto da parte dell’esercito, ufficiale e non, che spesso in precedenza le ha brutalmente attaccate. Io mi sono fermata per poco tempo, ma è stato tanto quello che ho ricevuto».

Esperienze che irrompono inevitabilmente nei testi e nella musica dei Chichimeca, molta autobiografia, ma non solo. «In quello che scrivo - spiega - c’è sempre molta realtà. Poi poco importa che sia esattamente la mia o quella di qualcuno che mi è passato vicino. Sono le emozioni vissute, sentite, a spingere fuori le parole. Non sarei capace di raccontare storie inventate, quello è un talento a parte». Niente di inventato, dunque, ma tanto da sognare e tanto da trasmettere, siano le storie degli indios o quelle personali, di un popolo o di una donna alla continua ricerca di un mondo migliore o di una coscienza migliore.

Il Chapas come pretesto per indicare una strada, per esserci e farsi sentire: «Di certo la questione del Chiapas è per me molto importante. Ma non c’è solo quella. Non si tratta di farsi venire una lacrima per l’ultima storia disperata che viene dall’altra parte del mondo. Io ascolto e sento, e non lascio che la mia vita scorra per conto suo, senza attenzione. Un mio amico messicano dice ‘Non voglio essere un turista sulla terra’. Questo mi sembra bello. Quello che faccio è mettere questa attenzione nel mio lavoro di cantante, come in tutti gli altri aspetti della mia vita. E credo che sia un dovere non solo di chi si esprime su un palco, ma di tutti. Se ognuno facesse con onore e rispetto il proprio lavoro sarebbe già un bel mondo».

Scegliere di cantare in italiano e in spagnolo esclude Claudia e i Chichimeca dai circuiti ufficiali della musica in Sardegna. Perché non usare il sardo e quindi accedere alle porte istituzionali e ai finanziamenti ? «Le lingue che uso quando scrivo sono quelle che mi sono naturali, che sia l’italiano, lo spagnolo o l’algherese. Ho scritto, aiutata da amici, un pezzo in arabo, e vorrei scriverne in sardo o in qualunque lingua che mi possa ispirare. La mescolanza di culture fa parte della mia esperienza e della vita di adesso. Anche della Sardegna. Quindi non trovo che ci siano differenze tra quello che produciamo noi come Chichimeca e quello che produce un gruppo sardo tradizionale. Credo che in entrambi i casi lavoriamo per la cultura della nostra terra. Purtroppo in Sardegna la difesa della lingua, con cui sono assolutamente d’accordo, si è sviluppata spesso a discapito della valorizzazione delle diverse forme di cultura sarde. Ma voglio credere che si arriverà presto a una visione più aperta, più comprensiva del tutto. E del resto in aprile siamo stati scelti come testimonial della Regione Sardegna in un tour nelle Grandi Stazioni italiane. Un bel riconoscimento per noi».

E che Claudia Crabuzza abbia scelto la strada più difficile per arrivare al grande pubblico è un dato di fatto: nessun ammiccamento alla moda del momento, nessuna concessione alle tendenze musicali. Ma la schiera degli amanti dei Chichimeca si infoltisce sempre di più, forse per i contenuti e per la schiettezza con cui trasmette le sue passioni e i suoi messaggi: «L’attenzione, il rispetto, innanzitutto. Si può fare musica senza prendere in giro chi ascolta. Con il cuore, e non col pensiero al successo dell’estate. E credo che questo sia ciò che viene subito fuori quando qualcuno ci ascolta. E poi che ci sono molte storie e molti mondi, e se uno vuole può vederli e capire qualcosa in più anche del proprio. Anche per questo ci vuole attenzione».

Molte storie e molti mondi, nei quali Claudia ti invita ad entrare da una porticina e ti spalanca un mondo. Un mondo lontano e apparentemente triste, ma che ti accoglie con un sorriso. «Bisogna sorridere e avere un volto disteso» ti dice, ed è la prima cosa che colpisce chiunque quando si incontra la Claudia. «Io credo che siano molto poche le ragioni vere per non sorridere, se si guarda bene. Non mi piace l’idea di coprire la tristezza con un sorriso. Se c’è è meglio piangerla. Ma ricordare sempre che sorridere porta bene, è come creare un circolo positivo. Io me lo scrivo sul muro, o sulla porta dell’armadio ‘sorridi’, per non dimenticarlo».

Una piacevole sorpresa, questa algherese dalla sensibilità traboccante, ignorata dalle major e forse per questo ancora più sicura di sé, delle sue storie e delle sue convinzioni, condivise da tutti e per questo troppo intime per tutti. Per sé stessa, invece, si riserva regali speciali. L’Ultimo? «Il concerto di Jovanotti nella miniera di Carbonia. Per me è il cantautore italiano che dice le cose più serie e che va più veloce di tutti. È il Manu Chao di qui. Credo che col tempo verrà fuori la profondità di quello che tutti e due stanno facendo. Credo che siano un modello di come si dovrebbe fare per fare bene». Viene da chiedersi que màs, Che altro?

nella foto Claudia Crabuzza
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